IL PELO NELL’UOVO
di Alberto Ierardi, Giorgio Vierda e Luca Oldani con Alberto Ierardi e Giorgio Vierda
regia Alberto Ierardi, Giorgio Vierda e Luca Oldani Costumi Chiara Fontanella
luci e fonica Alice Mollica
grafica Sue
Ph Matilde Meliani
produzione La Ribalta Teatro
con il sostegno di Officine Papage-Festival delle Colline Geotermiche Con il contributo del Teatrino de Fondi di San Miniato e
Spettacolo selezionato al Festival Plawithfood Torino 2021
Lo spettacolo è composto da tre scene differenti che si susseguono tra loro, come fossero quadri apparentemente a sé stanti. In scena due attori, una tavola, prima vuota poi imbandita, due sedie, un carillon e una tartare.
La Tavola siamo noi.
Il primo campo d’indagine, il primo quadro dello spettacolo è dedicato alla tavola, il vero e proprio campo di battaglia dove le pietanze si misurano e si susseguono giorno dopo giorno. Soprattutto però la tavola è un luogo sociale e l’altare del rituale alimentare. Accanto ad esso si dipana tutta una galassia di comportamenti e situazioni sociali che interconnettono il cibo che consumiamo ai momenti più importanti della nostra esistenza stessa. I due protagonisti giocano con una tavola, due sedie e una tovaglia, interpretando tanti momenti di vita legati a questo oggetto fondante della nostra cultura.
Un giorno per errore. Inadatti ad accettare.
Un carillon e una semplice narrazione ci introducono alla storia della nascita dell’allevamento intensivo: 1923, penisola del Delmarva, Stati Uniti. Celia Steele riceve un ordine sbagliato di 500 pulcini. Invece di restituirli sceglie di accoglierli nella sua fattoria. È la nascita dell’allevamento intensivo. Da li in poi sarà una crescita esponenziale senza fine (che oggi raggiunge i 70 miliardi di capi allevati all’anno, il numero più elevato di sempre). I due tentano di raccontare la storia, ma senza successo: si perdono nei meandri di dettagli inutili, fino a trasformare completamente la narrazione in un altro racconto. Inadeguati e inadatti a “prendere il toro per le corna”, ovvero ad affrontare i gravi effetti degli allevamenti intensivi sul riscaldamento globale, evitano comicamente il problema e continuano a vivere in questo stato di limbo, di semi coscienza della situazione: la nostra zona comfort rispetto al tema. Tante riflessioni, poche le azioni.
Un fatto di sangue.
Il terzo elemento che va a completare la nostra mappa teatrale dedicata al rapporto tra essere umano e cibo è dedicato all’addio: attraverso la messa in scena di un vero e proprio funerale di una tartare, viene esplorato il legame di sangue tra uomo in quanto allevatore e bestia da macello, tra consumatore e animale: quanta dignità siamo in grado di conferire all’animale che macelliamo? Il cambiamento passa da un consumo carnivoro consapevole o da un cambio di dieta in cui è totalmente assente la carne? I due, davanti al piatto di tartare, si comportano come fossero davanti alla bara di un caro parente. Unica regola: piangere sul latto versato; al segnale convenuto i due rovesciano una bottiglia di latte e piangono al capezzale della carne. E nel mentre attendono. Attendono l’arrivo di tutti coloro che avrebbero da salutarla, da dirle addio in un modo dignitoso, ma non si presenta nessuno. Come per magia vengono inviate le partecipazioni al lutto: ovvero ingredienti per condire la tartare. I due finiranno per mangiarla, dopo aver trattato l’animale come un morto e non come un pezzo di carne. È giusto? È sbagliato? Qui vive la contraddizione, il territorio della scelta che come specie umana dobbiamo esplorare.
I Finti Finali
È importante spendere qualche parola su queste due sezioni. I tre quadri di cui sopra, sono intervallati da due finti finali, all’interno dei quali i due attori fingono che lo spettacolo sia finito e colgono l’occasione per approfondire il rapporto culturale che l’essere umano ha da sempre con il cibo. Perché questa scelta? Oltre che per un motivo ludico, crediamo sia concettualmente rilevante: la specie umana ha un brutto rapporto con la fine. Il mondo sta andando a rotoli per colpa nostra e non riusciamo a mettere fine al nostro stile di vita consumistico, vero responsabile dello sfruttamento del pianeta e degli animali che lo abitano.